50 anni M. Tada Hiroshi in Italia

Le celebrazioni per il Cinquantennale dell'Aikikai d'Italia, per le quali abbiamo profuso tanto impegno, sono riuscite tutto sommato bene e ci lasciano sensazioni positive. Ed il tempo impiegato al servizio di una idea, e comunque a beneficio di altre persone, non è mai passato invano. Siamo saliti indiscutibilmente lungo i gradini di quella scala. Forse poco, ma siamo saliti. Non per questo ora scenderemo: tenteremo di salire su altre scale. A presto.
E ora, un tentativo di cronaca dell'evento. Un po' impressionistico (ma non aspettatevi Van Gogh)

Di solito la cronaca di un avvenimento importante comincia con i numeri: quanti erano i partecipanti, da quanti paesi venivano e quali, e così via.

Trovo che non sia del tutto congruo: come se nella recensione critica di un ristorante di classe l'autore si attardasse a spiegare la quantità in grammi della pasta utilizzata nella prima portata o i cc di quel tale condimento che accompagnava il secondo. Il buongustaio non si interessa necessariamente a queste cose, di solito le ignora addirittura. Accompagnatemi dunque in questo viaggio nell'ignoranza materiale, ove le sensazioni conteranno più delle cifre.

Certamente l'aspetto delle vivande conta, e dal vederle ci si rende immediatamente consci, per quanto per vie diverse, della loro capacità di saziare. Eccovi dunque una foto che vi renderà conto di quanto seminario c'era in tavola.

Il resto, devo probabilmente ancora scoprirlo io stesso. E forse lo scopriremo assieme. Il libro delle ricette lo consulteremo anchesso, certamente. A suo tempo.

Il protagonista assoluto di questo seminario è stato indubbiamente, e si sapeva da sempre che lo sarebbe stato, il maestro Hiroshi Tada, Hombu Dojo shihan, 9. dan, fondatore e Direttore Didattico dell'Aikikai d'Italia.

Inviato in Italia nell'ottobre del 1964 per diffondervi l'arte dell'aikido, ha perseguito tale scopo con ferma determinazione, programmandone le varie tappe e rispettando sempre la sua tabella di marcia, non vorrei dire nonostante le difficoltà, ma più correttamente non tenendo in alcun conto alcuna difficoltà.

Che la sua strategia sia stata necessaria e vincente lo hanno dimostrato non tanto i numeri, che come già detto non certificano necessariamente la qualità del prodotto, ma l'atmosfera magicamente reale che Tada sensei infonde in ogni suo seminario.

Lo ha confermato al Cinquantennale la partecipazione entusiasta non solo dei praticanti convenuti ma anche di tutti gli insegnanti, giapponesi ed italiani, che hanno collaborato con lui in questo lungo percorso.

In quanto a lui, sono ormai esaurite da tempo le parole atte a descriverlo. E' un esempio da seguire con lo sguardo e l'azione, non con le parole.

Grazie ancora, sensei.

L'impegno della preparazione mi ha probabilmente impedito di riflettere in anticipo sui tanti significati di manifestazioni di questo genere.

Adesso, a giochi fatti, tento di ricostruire queste molteplici chiavi di lettura

Una è senzaltro la possibilità, non ripetibile a breve, di vedere all'opera da vicino il punto di riferimento di tutti i praticanti ed insegnanti di aikido: il doshu Moriteru Ueshiba.

Lo vediamo qui intento a spiegare i principi dell'aikido e le conseguenti impostazioni della sua didattica, all'inizio della sua prima lezione.

Per tutti c'è stata la possibilità di vedere, dal vivo, la personificazione dell'ideale dell'aikido.

L'aikido non si basa forse sulla continua addizione di nuove nozioni e di nuovi modi comportamentali, ma sulla rinuncia al superfluo, sull'essenzialità, sull'austerità potremmo dire.

Non per questo l'attenzione dei praticanti è venuta meno. E' stato bello vederlo, anche se non c'era da dubitarne.

Anche perché ogni tecnica di aikido non è disgiunta da innegabile eleganza.

Quindi, come di consueto, il doshu ha mostrato, dimostrato, essenzialmente tecniche di base.

Molto più semplice di quanto si potrebbe pensare, e proprio per questo molto più difficile, citando uno dei paradossi preferiti di Hosokawa sensei, .

Che era naturalmente della festa.

Ma torneremo a parlare di chi c'era e di chi, purtroppo, era presente solo nel nostro ricordo.


Per tutti insomma partecipando alle lezioni diretti da Moriteru Ueshiba c'è stata la possibilità di toccare con mano tutto quanto abbiamo tentato di esprimere con un lungo giro di parole.

Per qualcuno anche di toccarlo con mano materiale, oltre quella che dovremmo avere dentro gli occhi per afferrare al volo e far nostro tutto quanto ci viene offerto da chi ha scelto la difficile strada del maestro.

E' infatti ben nota la disponibilità del doshu ad eseguire semplicemente le tecniche che va man mano spiegando su un notevole numero di praticanti.

E' inevitabile, quando si arriva ad una tappa importante, guardarsi attorno e cercare i volti di coloro che ci hanno accompagnato lungo il percorso, non sempre facile, e che sentiamo ormai parte di noi, altri noi stessi.

Quando il tempo trascorso è molto ci sono sempre dei vuoti, dei volti che non ritroviamo.

Il primo pensiero va naturalmente al maestro Fujimoto, che ci ha lasciato quasi due anni fa. Un tempo che a volte sembra eterno, a volte volato in un soffio, senza che ce ne rendessimo conto, lasciandoci con un senso di colpa che si aggiunge a quello di perdita.

Nomoto sensei ha voluto riportare Fujimoto tra noi: la prima tecnica della sua lezione ha deciso che fosse il kokyunage "alla Fujimoto", quello che lui stesso scherzosamente accettava venisse chiamato "il kokyunage col berrettino".

E' stato bello riaverlo tra noi. Attraverso il suo aikido. Attraverso il suo spirito.

Questa, esposta nella mostra allestita all'ingresso del padiglione, è sempre stata la sua foto preferita.

Lo capisco: l'intensità del legame stretto tra Fuji e Tada sensei traspare immediatamente dalla serena concentrazione delle loro espressione, dalla tensione positiva dei loro corpi.

La foto risale ai tempi lontani ed eroici (perlomeno nei racconti di pizzeria) dei seminari degli anni 80.

E' stata scattata infatti nel luglio 1984 presso il Centro Tecnico di Coverciano della Figc, che ospitava all'epoca i seminari estivi dell'Aikikai d'Italia.

Rivolto un pensiero commosso ad altri che non sono più tra noi, è bello pensare anche a chi abbiamo ritrovato.

Il maestro Toshio Nemoto è venuto in Italia se non vado errato sul finire degli anni 60, stabilendosi a Torino ove gettò il seme di una florida - tuttora - comunità aikidoistica.

Non ebbi occasione di conoscerlo di persona all'epoca, ma lo vidi a più riprese impegnato come uke in indimenticabili dimostrazioni tenute da Tada sensei presso il Dojo Centrale di via Eleniana in Roma.

Questa foto, ugualmente esposta in occasione della mostra, risale appunto a quegli anni. Si possono notare i tatami di paglia ancora in uso all'epoca, alti circa 20 cm , molto meno elastici di quelli attuali in gomma ed anche molto più pesanti.

E si notano anche naturalmente e soprattutto, l'espressione serena del maestro Tada durante l'esecuzione della tecnica e l'impegno di Nemoto san per esserne all'altezza.

Nemoto sensei era tra noi al Cinquantennale dell'Aikikai d'Italia.

Nella foto, da sinistra, sono presenti i maestri Yasufusa Kitaura, di cui ancora molti ricordano con nostalgia le lezioni di tanti anni fa a Desenzano prima e Coverciano poi, Toshio Nemoto, Hideki Hosokawa e Jun Nomoto.

E' un vero peccato che non abbia potuto partecipare il maestro Masatomi Ikeda: la festa, e la gioia, sarebbero state ancora più grandi.


Un altro gradito ritorno: il maestro Kano Yamanaka.

Nel corso degli anni 70 si stabilì per qualche tempo a Firenze, dando un notevole impulso allo sviluppo dell'aikido non solo nella bella città toscana ma anche ovunque si spostasse per tenere dei seminari.

La dinamicità del suo aikido, le sue capacità di comunicare entusiasmo ed intensità nel'allenamento ed il suo buonumore sono sempre stati un piacevole ricordo.

La foto proviene dalla rivista Aikido, anno 1976 n. 1, ed è stata scattata presumibilmente da Giovanni Granone presso il dojo allestito a Coverciano durante i seminari estivi.

Non poteva mancare l'architetto.

Per completare e perfezionare i suoi studi Masatoshi Imazaki ha soggiornato alcuni anni in Italia, prevalentemente a Milano ma con frequenti spostamenti.

Non ha mancato di approfittarne per insegnare ovunque si trovasse, dando un importante contributo allo sviluppo dell'Aikikai in quegli anni (parliamo sempre degli anni 70-80).

Qualcuno considera impietoso il calendario, altri come me lo trovano imparziale e lo accettano come piacevole ironico memento.

E' evidente che sono passati non solo molti anni da questa foto (risale al 1978) ma anche non pochi cambiamenti che non saprei se definire epocali o semplicemente generazionali.

Nella roulotte al camping di Villa di Camerata, ove si rifugiavano i praticanti in fuga dai prezzi di alberghi o pensioni di Firenze o Fiesole, si affollano da sinistra Imazaki, Hosokawa e una turbolenta rappresentanza del Dojo Centrale di Roma:

Cianci, Candido, Bottoni e in primo piano Zitelli. Jun Nomoto, elemento fondamentale di questa gabbia di matti, scattava la foto (non era tempo di selfies).

La spensieratezza di quei momenti lontani (ma solo nel tempo!) e materialmente un po' più poveri è evidente. Ma niente nostalgia: si può essere allegri anche pensando...

Di solito tendiamo a non accettare serenamente il segno lasciato su di noi dagli anni. Eppure il tempo, che notoriamente è galantuomo, registra e testimonia imparzialmente quanto accade.

Ne è un esempio lampante il confronto asettico tra due foto. Nella prima vediamo i partecipanti al Decennale della fondazione dell'Aikikai d'Italia, nellì'ormai lontano novembre 1974.

Non a caso è una delle foto che sono state da me selezionate nell'allestimento della mostra fotografica che introduceva nell'immenso ambiente ove si svolgeva il seminario celebrativo di questaltra ricorrenza, quaranta anni dopo.

Che non sono pochi. Certamente.

Non sono nemmeno pochi in questa foto i volti delle persone ormai scomparse, ma la presenza del maestro Tada, a sinistra, è un primo forte segnale: il maestro ci ha sempre accompagnato lungo questo percorso.

Nella seconda vediamo il gruppo dei partecipanti al Cinquantennale. Salta immediatamente all'occhio la differenza numerica, si è passati dalle decine di partecipanti alle molte centinaia.

Non è ovviamente la sola differenza, anche se basterebbe anche questa sola osservazione a farci concludere che il lavoro di questi anni non è stato vano.

Dovremmo anche notare, e qui proprio calco la mano, il fatto incontestabile che l'aikido è uscito fuori. Non si pratica più solamente nei dojo, che rimangono comunque il luogo deputato dell'arte, ma prende sempre più piede tra il pubblico.

Ovviamente questa conquista, se di conquista si tratta, non è stata indolore.

Nulla lo è, mai.

L'atmosfera rischia di non essere più la stessa: non ci raduniamo più in un attimo, all'aperto e sotto ad un grande platano, ma in enormi ambienti un po' freddi e non nostri. E condividiamo di meno la vita degli altri praticanti, a volte smarrendo la giusta atmosfera. Vediamo infatti che nonostante ogni zelo si fatica a radunare il gruppo, e rimangono dei ritardatari non ancora al loro posto.

Certo, in cambio sono aumentate di molto le persone che possono usufruire dei benefiici dell'aikido, che si spera emanino energia positiva anche al di fuori dei momenti in cui praticano l'arte. E' forse un prezzo inevitabile da pagare. Se è così, paghiamolo. Ma prima facciamo ancora ogni debito sforzo per migliorare, anche in questo. Aiutiamo chi ha difficoltà a marciare al ritmo degli altri, non rallentiamo la marcia regolandola sul ritmo degli ultimi.

Non dovremmo poi dimenticare - mai - che i grandi spazi vuoti sono soprattutto occasioni.

Sono spazi da sfruttare e da riempire, conosciamo tutti l'horror vacui che esiste da sempre in natura: nessuno spazio rimane mai vuoto a lungo.

E nessuno spazio sarà a noi estraneo se sapremo riempirlo di noi.


Un altro dei grandi motivi di questa manifestazione non è stato forse abbastanza sottolineato. Ci aiuta a metterlo a fuoco il semplice, ma lungo, elenco degli insegnanti e degli ospiti.

Vi troviamo infatti solamente nomi giapponesi ed italiani. Senza voler nulla togliere ad altri importanti legami, questa manifestazione ha voluto essere infatti anche una celebrazione della lunga stagione di rapporti di collaborazione, studio reciproco ed amicizia, tra l'Italia ed il Giappone.

Non indugio sulla presenza alla manifestazione, per quanto importante e significativa, dell'ambasciatore del Giappone, Kazuyoshi Umemoto.

Il miglior segno della cinquantennale opera congiunta, sifdando ogni distanza materiale e culturale, è la grande partecipazione all'evento da parte di insegnanti e praticanti provenienti dal paese del sol levante.


E naturalmente non va dimenticato che la politica dell'Aikikai è fortemente mirata, da alcuni anni, alla formazione delle generazioni future.

Era quindi particolarmente nutrita anche la delegazione dei bambini, che hanno apportato alla manifestazione il loro prevedibile ma sempre benvenuto slancio vitale, la loro spontaneità ed il loro entusiasmo.

Abbiamo molto da imparare dai bambini, come sempre.

Questa volta direi che ci hanno rammentato, ed era veramente il caso, che non dobbiamo compiacerci per quanto raggiunto ma considerarlo solamente come una solida base da cui partire per costruire nel futuro qualcosa di ancora più grande, commisurato all'entusiasmo ed alle aspettative di questi bambini.

Debbo chiudere con una nota solo apparentemente triste.

Il rimpianto ed il dolore per la perdita prematura di Fujimoto sensei non potranno mai avere un termine.

Sappiamo però che ci ha lasciato una missione da compiere, che non potrà colmare questo vuoto ma darà un ulteriore impulso alla nostra ricerca.

La consegna alla sua consorte della medaglia destinata al maestro Fujimoto è stato sicuramente il momento più intenso di queste intense brevi giornate.

Ed è stato, altrettanto sicuramente, un momento molto bello.


 4019,    11  Ago  2019 ,   Cronache